Ricordo le lezioni di Neuropsicologia, uno degli esami che ho apprezzato di più durante il periodo Universitario. Grazie al mio Professore modelli educativi e progetti scolastici erano finalmente finiti sullo sfondo, lasciando spazio a lezioni molto più interessanti legate alla fisiologia del cervello, allo sviluppo della coscienza, alla memoria, alla percezione, alla sensazione e ai neuroni specchio.
Come funzionano i ricordi? Come mai sento? Quello che sento io corrisponde a quello che senti tu? Il colore rosso, è rosso anche per te? Lo vedi nella mia stessa identica maniera? Domande curiose che mi permettevano di dialogare con compagni di Università, anche se apparivano molto distanti da una possibile applicazione pratica…e invece…
Oggi quei concetti teorici fanno da sfondo al mio lavoro: sapere come funziona la mente delle persone è pur sempre fondamentale.
|Perché ricordo e cosa dice la psicologia|
Complice una frase pescata da qualche manuale di Psicologia e appuntata su una delle tante note presenti sul mio computer, oggi scrivo questo breve articolo dedicato alla memoria, ai ricordi e alla psicoterapia. La frase più o meno recita così:
Le storie autobiografiche che ognuno di noi racconta, e si racconta, non sono resoconti dettagliati della realtà; sono piuttosto storie che trasmettono il nostro punto di vista sulla realtà.
Ci sono almeno due cose di questa scoperta fatta dalla psicologia che mi colpiscono: la prima, che le cose che ricordiamo non necessariamente sono accadute come le ricordiamo. L’accuratezza del ricordo dipende da quanto quell’evento è stato importante e impattante per noi. La maggior parte di noi non ricorda cosa sia accaduto giovedì 13 giugno 2013, mentre ognuno di noi ricorda cosa stava facendo martedì 11 Settembre 2001.
Perché? Perché ciò che accade nel susseguirsi dell’ordinario non merita di essere ricordato, e finisce nel dimenticatoio. Ecco la seconda cosa che mi ha colpito: ricordiamo molto meglio quello che accade se accade al di fuori dell’ordinario, della routine, mentre dimenticheremo tutto ciò che accade nell’ordinario. C’è una ragione precisa e documentata scientificamente: parla di cervello, attivazione e adrenalina. In sintesi, più alto è il grado di attivazione, più è alta l’adrenalina. Maggiore adrenalina, maggiori eventi scolpiti nella memoria. Riempiamoci di esperienze fuori dall’ordinario.
|Alert!|
Non funziona sempre così. Di fronte a situazioni terribili, il livello di attivazione esagera e il sistema si sovraccarica e collassa, generando il famigerato Trauma. Ne parlerò presto, in uno dei prossimi articoli.
Ordinario e straordinario, dicevamo. Di per sé la lingua italiana, prima della Neuropsicologia e delle Neuroscienze, suggeriva cosa vale la pena ricordare. Ma da terapeuta, che si confronta ogni giorno con persone e non solo con cervelli, sento di dover aggiungere un pezzo.
Anche se il nostro cervello è impostato per dimenticare l’ordinario, non per questo la routine non merita di essere vissuta. La routine è la vita che si sussegue giorno dopo giorno e che ci prepara allo straordinario, lo anticipa e lo consegue. Sono certo che l’uno abbia bisogno dell’altro: ciò che viene portato a livello della consapevolezza anche nella stanza della terapia è proprio questo dialogo, simbolicamente rappresentato da una melodia che accompagna la vita di tutti noi, tra acuti, note leggere, note di accompagnamento appena percepibili, note stonate, note intonate…
|E quello che non ricordiamo?|
L’ultimo accenno che vorrei si trasformasse in ricordo per chi legge è questo: oltre all’ordinario, dimentichiamo altro. Sto parlando di eventi traumatici, situazioni troppo dolorose da essere integrate nella memoria.
Quando ci troviamo di fronte a eventi importanti e traumatici, il nostro lobo frontale – quello razionale dove accadono i processi più fini ed elevati – si spegne insieme alle aree deputate a trasformare in parole i sentimenti: resta attivo invece il cervello emotivo, quello del Sistema Limbico, dell’amigdala e del talamo, quello delle emozioni e delle sensazioni. L’evento così si deposita nella nostra memoria sottoforma di frammenti sensoriali ed emotivi piuttosto che essere organizzato in una fluida e coerente narrazione satura di contenuti.
Aiutare il paziente a contattare il ricordo partendo dalle sensazioni ed emozioni nel qui e ora della seduta, diventa fondamentale per superare o elaborare ciò che fa soffrire. In un clima accogliente di fiducia reciproca, con attenzione alle sensazioni legate al corpo e alle emozioni, si innesca così una narrazione che restituirà alla memoria un ricordo rielaborato, ovvero valorizzato dal contenuto verbale (lobo frontale) e da quello emotivo e sensoriale (Sistema Limbico), con o senza il tanto acclamato EMDR (anche di questo scriverò presto).
|Ricordi in seduta|
A volte mi viene chiesto dai pazienti come mai sia così doloroso ricordare. Domanda assolutamente legittima: il ricordare, come abbiamo visto, non è un processo puramente cerebrale e di nuovo la bellezza dell’origine delle parole lo suggerisce…Mi piace rispondere a questa domanda facendo riflettere sull’etimologia della parola “ricordo”, sulla sua composizione che sa rivelare l’infinta poesia di questa nostra capacità.
Così, ai miei pazienti dico:
“Prova a dividere la parola in sillabe.”
Ri-cor-do.
Ridò al cuore. Ah ❤️
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